RENDICONTI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA
VOLUME LXXXVI
ANNO ACCADEMICO 2013 - 2014
INDICE
Elenco degli Accademici…………………………………..……………………………………………V
Consiglio Accademico………………………………………………………………………………XIII
Verbali delle adunanze pubbliche……………………………………………………………....XV
COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE
A. SIRINIAN, La presenza degli Armeni nella Roma medievale: prime testimonianze
manoscritte ed epigrafiche (con una iscrizione inedita del XVI secolo) …………. 3
P.L. TUCCI, A new look at the Tabularium and the Capitoline Hill................ 43
I. HAYNES, I. PEVERETT, P. LIVERANI, S. PIRO, G. SPINOLA, Progetto Laterano, primi risultati…………………………………………………………………………………………………………………125
A. MORETTI SGUBINI, Ancora scoperte nei depositi per l'orientalizzante di Vulci ………………………………………………………………………………………………..145
Appendice: L. SIST, Tre scarabei egiziani da Vulci …………………………...199
H. MANDERSCHEID, Hermine Speier. Ein Leben in drei Welten........ 205
G. BARTOLONI, V. ACCONCIA, F. BOITANI, F. BIAGI, S. NERI, U. FUSCO, Le ricerche
dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" a Veio
I. G. BARTOLONI, Il progetto Veio………………………………………………………………………..269
II. V. ACCONCIA, G. BARTOLONI, "La cittadella Piazza d'Armi"………….. 273
III. F. BOITANI, F. BIAGI, S. NERI, Le fortificazioni di Veio: novità
dalle ricerche in atto………………………………………………………………………………………... 297
IV. U. FUSCO, Aspetti cultuali e archeologici del sito di Campetti, area
a sud-ovest, dall'età arcaica a quella imperiale………………………………. 309
L. CHIOFFI, CIL VI.8, fasc. 3: 41025: Elogium (?) feminae ordinis senatorii,
ovvero il fatale destino di Iulia, figlia di Cesare………………………………… 355
A. VARONE, Le iscrizioni graffite di Stabiae alla luce dei nuovi rinvenimenti……………………………………………………………………………. 375
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G. CAMPOREALE, Protomi di grifo fittili del VII secolo a.C.: Etruria, Lazio, Sabina ………………………………………………………………………………………………….429
D. F. MARAS, Il pittore delle Gorgoni di Heidelberg e la seconda generazione
di ceramografi 'campanizzanti' in Etruria……………………………………………………………….. 449
G. TARASCO, L'iscrizione CIL IX 114* da Loretino con dedica di Silla a Venere
Erycina Vincitrice………………………………………………………………………………………… 477
A. JACOB, La grotte de San Cristoforo à Torre dell'Orso (Lecce) e ses inscriptions byzantines………………………………………………………………………………………………513
F. GUALDI, Avori barocchi inediti con il buon pastore bambino (niño)………….. 537
COMMEMORAZIONI
D. MAZZOLENI, Anna Maria Ramieri (1947- 2013)…………………………………………………… 573
E. LISSI CARONNA, Laura Fabbrini (1926- 2014) (con bibliografia)…………….. 581
RIASSUNTI/ABSTRACTS
RENDICONTI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA
VOLUME LXXXVI
ANNO ACCADEMICO 2013 – 2014
A. SIRINIAN, La presenza degli Armeni nella Roma medievale: prime testimonianze manoscritte ed epigrafiche (con una iscrizione inedita del XVI secolo), pp. 3-42
L’articolo prende in esame le tracce più antiche lasciate nella loro lingua dagli Armeni a Roma. Qui, sebbene la presenza di comunità religiose armene sia attestata già negli Atti greco-latini del Concilio lateranense del 649, è al XIII secolo che risalgono le prime testimonianze direttamente riconducibili a loro, costituite da manoscritti ed epigrafi. Grazie infatti alla consuetudine degli Armeni di lasciare dettagliati colofoni al termine dei manoscritti, è possibile individuare con certezza dieci codici scritti o, in due casi, portati a Roma tra il 1221 e il 1310. Essi dimostrano l’esistenza di una chiesa e di un ospizio armeni nei pressi di San Pietro, e gettano luce su una comunità composta non solo da religiosi, ma anche da laici, uomini e donne, per lo più pellegrini. Al gruppo di manoscritti si aggiungono tre epigrafi risalenti agli anni 1246, 1267 e 1305 (dall’insediamento presso San Pietro e dall’Abbazia delle Tre Fontane). L’articolo presenta infine un’iscrizione armena inedita del XVI secolo, recentemente rinvenuta nel Tempio di Portunus o “Tempio della Fortuna Virile” che in passato, per oltre due secoli e mezzo, ricoprì la funzione di chiesa della comunità armena di Roma.
The article focuses on the most ancient traces left in their own language by the Armenians in Rome. Here, although the existence of Armenian communities is documented in the Acts of the Lateran Council of 649, we have to wait until the 13th century to come across the first documents directly linked to them, represented by manuscripts and epigraphs. Thanks to the Armenian custom of leaving long colophons rich in historical news, we know of a group of ten manuscripts copied or taken to Rome between 1221 and 1310. They bear witness to the existence of an Armenian church and a hospice near St. Peter’s, shedding light on a community composed not only of monks but also of lay people, including women and married couples, mostly pilgrims. In addition to these manuscripts there are three epigraphs, dating back to the years 1246, 1267 and 1305. The most ancient one, a “stone-cross” (khatchkar) on wonderfully preserved marble, was found near St. Peter’s, while the two others, which were retrieved at the “Three Fountains Abbey”, testify to the presence of Armenian monks near the place of St. Paul’s martyrdom. Finally, the article presents an Armenian inscription dating back to the 16th century, recently found at the Temple of Portunus or Temple of Fortuna Virilis, which in the past, for more than two and a half centuries, served as the church of the Armenian community in Rome.
P.L. TUCCI, A new look at the Tabularium and the Capitoline Hill, pp. 43-123
Tra i frammenti della Forma Urbis con topografia non identificata è stato possibile localizzare il gruppo 277a-b. Si tratta di un angolo di lastra che rappresenta le pendici di un colle. Considerando le aree della città che apparivano negli angoli delle 150 lastre della pianta marmorea e la necessaria rettifica dei margini delle lastre nella zona del Foro Romano, ma anche in base a vari elementi tecnici, il gruppo 277a-b va collocato nell’angolo superiore destro di una delle lastre verticali che rappresentavano il Campidoglio. In particolare, i due frammenti mostrano le sostruzioni dell’Arx verso il Clivus Argentarius, le Scalae Gemoniae e la metà settentrionale della cella del tempio della Concordia Augusta. Sul colle è visibile un piccolo monumento al centro di un’area orientata secondo i punti cardinali, la cui esistenza era finora sconosciuta per la mancanza di resti archeologici. Le informazioni fornite dalla Forma Urbis sono presentate dopo un riesame delle strutture superstiti e una dettagliata rassegna degli studi recenti relativi all’area del Tabularium.
Among the fragments of the Forma Urbis with unidentified topography it has been possible to locate the group 277a-b, a slab corner depicting the slopes of a hill. Considering the areas of the city that appeared in the corners of the 150 slabs of the marble plan as well as the necessary modification of the slab edges in the area of the Roman Forum, and taking into account several technical elements, fragments 277a-b must be located in the top right corner of a vertical slab depicting the Capitoline hill. In particular, the two fragments show the substructures of the Arx facing the Clivus Argentarius, the Gemonian Stairs, and the northern half of the cella of the temple of Concordia Augusta. A previously unknown monument is visible on the hill, inside an area oriented at the points of the compass. The information provided by the Forma Urbis is presented after an assessment of the surviving archaeological evidence and a detailed review of recent scholarship on the area of the so-called Tabularium.
I. HAYNES, P. LIVERANI, I. PEVERETT, S. PIRO, G. SPINOLA, Progetto Laterano, primi risultati, pp. 125-144
L’area archeologica lateranense si colloca al margine della città di Roma, immediatamente all’interno delle Mura Aureliane presso l’ingresso della via Tuscolana, e si estende al di sotto della cattedrale di S. Giovanni e degli edifici connessi, formando un nodo topografico di grande importanza storica. Alle domus dei primi due secoli dell’era cristiana si sovrappongono i Castra Nova Equitum Singularium di Settimio Severo e, successivamente, la basilica costantiniana e il Patriarchìo lateranense. Il progetto Laterano nasce dalla felice collaborazione tra i Musei Vaticani e le Università di Firenze, Newcastle e Northumbria, con il supporto della British School of Rome e la collaborazione dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Gli importanti resti sono noti solo da brevi note preliminari ma il rilevamento in 3D ne permette una lettura molto più dettagliata e interessante di cui vengono presentati alcuni risultati preliminari.
The archaeological area of the Lateran in Rome lies immediately within the Aurelian Walls near the gate of the Via Tusculana, under the Cathedral of St. John and the neighbouring buildings. It is an area of great historical importance. The domus of the first two centuries AD were superseded by the Castra Nova Equitum Singularium of Septimius Severus and later by the Constantinian basilica and the Lateran bishopric.
The Lateran project was born from the collaboration between the Vatican Museums and the Universities of Florence, Newcastle and Northumbria, with the support of the British School of Rome and the collaboration of the Institute for Technologies Applied to Cultural Heritage of the Italian National Research Council (CNR). Up until now the major remains have only been published in brief preliminary notes, but the completion of a 3D survey by the Project allows a far more detailed and interesting reading.
A.M. MORETTI SGUBINI, Ancora scoperte nei depositi per l’orientalizzante di Vulci, pp. 145-198
Appendice: L. SIST, Tre scarabei egiziani da Vulci, pp. 199-203
Vengono presi in esame due distinti gruppi di materiali frutto di sequestri operati a Vulci dalle Forze dell’Ordine all’inizio degli anni ’60 del Novecento. Il primo, risalente al 1962, consentì il recupero di preziosi oggetti di ornamento personale, quali fibule, collane, pendenti, dei quali tre con scarabei -v. Appendice-, un bracciale, ecc., poi riconosciuti provenienti da una tomba della necropoli della Polledrara, ad est di Vulci. Con una rara kotyle protocorinzia, il sepolcro restituì altri cospicui resti di vasellame di bronzo, elementi di bardatura e resti di un carro, oggetti che, come gli ornamenti personali, apportano nuovi contributi alla conoscenza della cultura di Vulci dei primi decenni del VII sec. a.C. Grazie al secondo sequestro, effettuato nel 1961, oltre ad un prestigioso vaso di bronzo, fu recuperato un gruppo di lamine appartenenti ad un trono di bronzo. Dello stesso tipo degli altri più antichi esemplari già noti, si differenzia tuttavia da quelli nella decorazione del lato anteriore dello schienale dove si dispiega un fregio figurato i cui caratteri tecnico-stilistici inducono a riferire il trono all’attività di toreuti operanti a Vulci nei decenni successivi alla metà del VII sec. a.C.
The first one (1962) allowed to recover some jewels of various typologies as fibulae, necklaces, pendents, three of them with precious scarabs - see Appendix-, a bracelet, etc., recognized as coming from a grave of the Polledrara’s necropolis at east of Vulci. These bronze vessels, elements of horse trappings and parts of a chariot, provide new elements to the knowledge of the Vulci’s culture in the first period of the VII sec. B.C. The second one (1961) allowed to recover a bronze vessel of exquisite workmanship and, over all, a group of bronze sheets belonging to a bronze throne. The throne, of the same kind of the more ancient ones already known, makes itself different from the others in the decoration of the front side of the back consisting in a figured frieze whose stylistic and technical features suggest to refer the throne to the activity of toreutics working in Vulci in the central years of the second half of VII sec. B.C.
H. MANDERSCHEID, Hermine Speier. Ein Leben in drei Welten, pp. 205-267
Il contributo tratta alcuni aspetti della vita di Hermine Speier, archeologa ebrea tedesca. Nel 1928 diventò collaboratrice di Ludwig Curtius all’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Licenziata nel 1934, fu la prima donna laica ad assumere un ruolo di collaboratrice scientifica nel Vaticano. A causa della legislazione antisemita rischiò l’espulsione. Nel 1939, ricevette il battesimo. Durante l’occupazione nazista di Roma, fu costretta a nascondersi in vari monasteri. Hermine Speier fu tra quei migliaia di ebrei (tedeschi e non) completamente assimilati. La sua vita si svolse in tre mondi: quello tedesco, quello italiano (romano) e quello vaticano.
The article deals with aspects of the life of Hermine Speier, German Archaeologist of Jewish origins. After the university years, she became collaborator of Ludwig Curtius at the Abteilung Rom of the Archäologisches Institut des Deutschen Reiches. In 1934 she was dismissed because of her Jewish origins and became, as the first woman, scientific collaborator of the Vatican. Because of the anti-Semitic legislation of Italian fascism during the late 30’s, here personal situation got worse. During the period of German occupation of Rome, she lived underground. Hermine Speier is one of thousands of German citizens of Jewish origins completely assimilated. She lived in three worlds: the German one, the Italian one, and the Vatican one.
G. BARTOLONI, V. ACCONCIA, F. BOITANI, F. BIAGI, S. NERI, U. FUSCO, Le ricerche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza“ a Veio
I. G. BARTOLONI, Il “progetto Veio”, pp. 269- 271
II. V. ACCONCIA, G. BARTOLONI, “La cittadella Piazza d’Armi”, pp. 273-296
Il pianoro di Piazza d’Armi, direttamente a sud di quello più esteso di Veio, è frequentato stabilmente tra il IX e la prima metà del V secolo a.C. Gli scavi condotti dal 1996 dall’Università “Sapienza” di Roma hanno portato nuovi dati alla conoscenza del sito.
L’insediamento risulta aggregato intorno a una sepoltura maschile a inumazione, realizzata all’interno di una struttura capannicola ovale, databile appunto alla Prima età del Ferro. Alla metà del VII secolo, il sito subisce una trasformazione radicale, con la definizione di un impianto regolare imperniato su assi stradali con andamento ortogonale, che delimitano gli spazi occupati da strutture residenziali ed edifici pubblici. Fino a circa la metà del VI secolo, una notevole quantità di frammenti di terrecotte architettoniche (tra le quali anche un gruppo acroteriale composto da un individuo stante e un cane) suggeriscono l’esistenza di residenze gentilizie, smantellate appunto intorno al 560-550 a.C. Segue un’ulteriore fase di ricostruzione e monumentalizzazione dei percorsi stradali e, intorno alla metà del V secolo a.C., il sito sembra abbandonato.
Una ripresa è attestata dopo la conquista romana di Veio con un sito produttivo di età medio-repubblicana. Successivamente, si assiste a un uso sporadico dell’area, almeno fino al periodo alto-medioevale, quando (tra IX e XI secolo d.C.) vengono costruite le mura difensive che erano state finora ascritte al periodo arcaico.
The plateau of Piazza d’Armi, directly south of the major one of Veii, was frequented permanently from the 9th to the first half of the 5th century BC. Excavations carried on by the University “Sapienza” of Rome, brought to light new data for its knowledge.
The settlement seems to be organized around a male inhumation grave, realized inside an oval hut, dated to First Iron Age. The same area was later occupied by public or sacred buildings. Until the second half of the 8th century BC, this hut was respected and surrounded by evidences referred to ritual practices. During the half of the 7th century BC, the settlement was involved in a radical transformation, with the development of a regular urban plan, based on orthogonal roadways which delimited residential and public buildings. For this period, until the half of the 6th century, a relevant number of architectural terracotta fragments (among which, also anacroterion composed by a human standing figure with a dog), suggest the existence of aristocratic residential buildings, dismantled around 560-550 BC. This moment was followed by another roads monumentalization phase and, around the half of the 5th century, the site was completely abandoned, probably in relationship with the first conflicts with Rome. It was occupied again after the Roman conquest of Veii: during the mid-republican period almost a small productive farm was established. Afterwards, the site was sporadically used, almost until the Early Middle Ages, when it was occupied permanently from the 9th to the 11th century AD. During this period, the tuff defensive walls surrounding the plateau (previously ascribed to the archaic period) were built.
III. F. BOITANI, F. BIAGI, S. NERI, Le fortificazioni di Veio: novità dalle ricerche in atto, pp. 297-308
Il circuito difensivo di Veio registra importanti novità che interessano sia gli aspetti strutturali sia la questione cronologica, ancorata finalmente a precisi dati stratigrafici. Ai risultati delle indagini a Piazza d’Armi, che hanno postdatato le mura della cittadella ad epoca medievale, si affiancano testimonianze dagli scavi lungo il ciglio settentrionale di Campetti. In questo settore, oltre a documentare l’esistenza di consistenti apprestamenti difensivi risalenti al momento di passaggio tra il Bronzo finale e la prima età del Ferro, è stato possibile fissare la datazione delle mura in opera quadrata al pieno arcaismo, rivelando anche la presenza di un fossato difensivo a valle. Si dà breve notizia inoltre della messa in luce di una nuova porta monumentale, situata in posizione intermedia tra porta Nord-Ovest e porta Caere.
The defensive wall of Veii has been systematically investigated since more than a decade; important news are now available for this feature of the ancient city, in particular in regards to both the structural characteristics and its chronology. The results of excavations made at Piazza d’Armi unexpectedly ascribed the walls of the citadel to Medieval age. At Campetti, in fact, plentiful remains of a defensive structure belonging to the end of the Bronze Age/early Iron Age have been unearthed. Moreover, the chronology of the archaic defensive wall has been pinpointed, while an external moat has been identified. Finally, the paper presents for the first time the discovery of a new monumental gate, located in between the Nord-West Gate and the Caere Gate.
IV. U. FUSCO, Aspetti cultuali e archeologici del sito di Campetti, area a sud-ovest, dall’età arcaica a quella imperiale, pp. 309-345
Il complesso di Campetti a sud-ovest del pianoro della città di Veio, nel Periodo II (fine VII-IV secolo a.C.) è interpretabile come un santuario urbano edificato vicino ad una porta della città. Tra i reperti attribuibili al santuario, oltre ad alcuni depositi votivi, si ricordano un frammento di statua fittile policroma attribuita ad un gruppo statuario raffigurante Enea e Anchise e alcuni frammenti di una statua fittile di Ercole. Nei Periodi IV (fine I secolo a.C. - I secolo d.C.) e V (II-III secolo d.C.) il sito, localizzato nell’immediato suburbio del municipio romano, è dotato di edifici e infrastrutture , che suggeriscono una funzione pubblica, in cui l’acqua ricopre un ruolo di primaria importanza. Alcune iscrizioni votive dedicate a diverse divinità (Igea, Ercole, le Fonti e Diana) caratterizzano l’area come un centro termale, terapeutico e a carattere policultuale. Indagini geologiche hanno portato alla scoperta delle sorgenti termali del sito.
The Campetti complex in the south-west area of the plateau of the city of Veii during the II period (late VII-IV century BC) the area can be interpreted as an urban sanctuary built near to one of the city gates. Among artefacts attributed to the sanctuary and in addition to votive offerings, is a fragment of a polychrome clay statue from a group sculpture depicting Aeneas and Anchises and some fragments of a clay statue of Hercules. During the IV period (late I century BC – I century AD) and V period (II-III century AD) the site, situated in the immediate suburbs of the Roman Municipium, has buildings and infrastructures, which suggest the unequivocal public function of the site in which water plays a major role. Some votive inscriptions dedicated to different deities (Igea, Hercules, Fontes and Diana) define the area as a thermal, therapeutic site where various different cults were practised.Recent geological research has led to the discovery of hot springs at the site.
L. CHIOFFI, CIL VI.8, fasc. 3: 41025: Elogium (?) feminae ordinis senatorii, ovvero il fatale destino di Iulia, figlia di Cesare, pp. 355-374
La base di marmo proconnesio, conservata in un frammento riutilizzato come tegola per la copertura adrianea del Pantheon, aveva sostenuto una statua di Giulia, la figlia di Giulio Cesare e moglie di Pompeo Magno, innalzata nel forum Iulium, e più precisamente nel portico sud-orientale ricostruito da Ottaviano/Augusto, da identificare, per via di altri rinvenimenti epigrafici, con la basilica Iulia menzionata nelle Res Gestae, coincidente a sua volta con la basilica Iulia nota da alcune tavolette cerate di Ercolano. Tale base aveva sostituito un precedente piedistallo in marmo lunense, danneggiato perché colpito da un fulmine, quindi abbandonato e successivamente adoperato per sorreggere un’immagine dell’Augusta Sabina, sul quale l’effigie della figlia del dittatore era stata sistemata, in chiave di esaltazione dinastica, in occasione delle fastose celebrazioni che accompagnarono l’inaugurazione del forum Caesaris e del tempio della Venus, Genetrix dei discendenti di Enea, tra i quali Cesare ambiva di essere annoverato.
Dell’elogium augusteo, che celebrava gli onori straordinari riservati alla donna, venuta a mancare in circostanze sospette insieme alla sua creatura, si sono salvate le ultime due righe di testo, il cui riesame permette di distinguere due distinte onorificenze: oltre al monimentum nella piazza gentilizia, una sepoltura (tumulus) nel sacro recinto funebre riservato in Campo Marzio al riposo eterno dei padri della patria.
Le fragment en marme proconnesium, utilisé comme une tuile pour couvrir le Panthéon d’Hadrien, été partie d’une base, qui avait soutenu une statue de Iulia, la fille de Jules César, épouse de Pompée le Grand. Cette sculpture fut élevée dans le forum de César, et plus précisément dans le portique sud-est reconstruit par Octave/Auguste, à identifier, en raison d’autres découvertes épigraphiques, avec la basilique Iulia mentionné dans la Res Gestae, à son tour coïncident avec la basilique Iulia connue par des tabulae ceratae d’Herculanum. Cette base dû remplacer un précédent socle en marbre de Luni - frappé par la foudre, puis abandonné et plus tard utilisé pour une portrait de Sabina Augusta - sur lequel l’image de la fille du dictateur avait étée placée à l’occasion des célébrations somptueuses pendant l’ouverture aussi bien du Forum Caesaris que du Temple de Vénus, Genitrix des tous descendants d’Enée, y compris César même. De l’elogium de l’époque d’Auguste, célébrant les honneurs extraordinaires réservés à la femme, décédée avec sa créature dans des circonstances douteuses, il ne reste que les deux dernières lignes du texte: leur examen nous permet de distinguer deux différents honneurs: le monimentum dans le forum de la famille Iulia et plus un enterrement (tumulus) dans l’enceinte sacrée, réservé au Champ de Mars pour le repos éternel des pères de la nation.
A. VARONE, Le iscrizioni graffite di Stabiae alla luce dei nuovi rinvenimenti, pp. 375-427
E’ presentata una selezione delle iscrizioni parietali di Stabia rinvenute dopo la ripresa delle esplorazioni a partire dal 2007, che evidenzia la varietà dei temi riscontrati e alcune interessanti novità. In particolare è fatta un’ampia disamina dei nomi presentatisi, molti di origine grecanica, alcuni dei quali non prima attestati, così come Phederus o Caprylla, e anche di parole nuove, come conrite. Alcuni testi rimandano a versi virgiliani o di Terenzio, altri hanno stretti legami con iscrizioni pompeiane, come nel Sator o nel barbara barb[ari]bus b[- - -], così come nel Felix | hic est contrappuntato da un bene illi | qui hoc scripsit. Tra le iscrizioni discorsive una delle più interessanti è il precetto [te]sṣeras cum emamus fructus nascatur bonus. Un cubicolo anfitalamo posto nella zona residenziale di villa Arianna mostra iscrizioni in cui il greco si alterna o addirittura si miscela nella stessa parola col latino, con riferimenti continui alla isopsephia e, ciò che più conta, l’attestazione che due C. Poppaei, uno col cognomen Hymetus, abitarono la villa per 8 anni, cosa che lascia pensare che essa possa essere stata nelle proprietà della famiglia della seconda moglie di Nerone.
I graffiti di Stabia, strettamente contigui a quelli di Pompei, rivelano un milieu molto interessante, colto, per molti aspetti alquanto sofisticato, e con larga incidenza di persone provenienti dal mondo greco in grado di scrivere in fluidissimo corsivo.
This paper presents a selection of graffiti from ancient Stabiae, found after the excavations restarted there after 2007, with a variaty of subjects, and some interesting novelties. In particular, a widestudy of the names appearing in the graffiti is presented, some of them attested for the first time, like Phederus or Caprylla, and also new words, like 'conrite'. Some texts echo passages of Virgil or of Terence, others have close parallels in Pompeian inscriptions, like Sator or barbara barb[ari]bus b[- - -], like Felix | hic est. | Bene illi | qui hoc scripsit. Among the most interesting texts is the advice [te]sṣeras cum emamus fructus nascatur bonus. A cubiculum with two alcoves, situated in the residential part of Villa Arianna, contains numerous inscriptions in which Greek alternates, or is even mixed in one word, with Latin, with continuous reference to isopsephia and, what is more important, naming two C. Poppaei, one with the cognomen Hymetus, that lived in the villa for eight years, making it probable that the villa could have been a propriety of the family of the second wife of Nero.
Graffiti from Stabiae, closely parallel to those from Pompeii, reveal interesting and cultivated, even sophisticated milieu, with the presence of multiple persons coming from the Greek world and capable of writing in very fluent cursive.
G. CAMPOREALE, Protomi di grifo fittili del VII secolo a.C.: Etruria, Lazio, Sabina, pp. 429-448
Le protomi di grifo (e di leone), realizzate in lamina di bronzo e riempite di materiale bituminoso, sono state rinvenute attaccate a lebeti bronzei di origine vicino-orientale, probabilmente nord-siriaca, restituiti da tombe principesche di età orientalizzante dell’Etruria (lebeti di Bronzo di Vetulonia, Regolini-Galassi di Caere) e del Lazio Antico (Barberini e Bernardini di Praeneste). Di queste si hanno anche repliche fittili, attaccate a lebeti fittili, le quali sono concentrate nell’agro falisco e nel Lazio e attestate con esempi singoli anche a Poggio Sommavilla in Sabina e nell’area delle necropoli rupestri. Ad Acquarossa la protome di grifo diventa ornamento di coppi del tetto di una casa. Un altro gruppo omogeneo si riscontra su vasi situliformi di Chiusi. Le repliche fittili si rifanno per taluni aspetti ai modelli allotri e per altri all’estro e al gusto di maestri locali. Ciò porta a postulare una circolazione dei modelli bronzei stranieri molto più ampia di quanto non risulti dai dati oggi disponibili.
The protomae of griffins (and lions) in bronze sheet and filled with bituminous material, attached to bronze cauldrons originating in the Near East, probably Northern Syria, have been found in monumental tombs of Etruria’s Orientalizing Period (Bronze Cauldrons of Vetulonia, Regolini-Galassi of Caere) and ancient Lazio (Barberini and Bernardini in Praeneste). Of these we also have replicas in clay, attached to clay cauldrons, which are concentrated in the Faliscan territory and in Latium Vetus, and they are also attested to by single examples at Poggio Sommavilla in Sabina and in the region of the rock necropolises. At Acquarossa the head of a griffin becomes a rooftile decoration for a house. Another homogeneous group is found on situla form vases of Chiusi. The clay replicas in some aspects are influenced by foreign models and in others by local masters’ inspiration and taste. This brings us to postulate that the circulation of foreign bronze models was much wider than one would expect from the data available today.
D.F. MARAS, Il pittore delle Gorgoni di Heidelberg e la seconda generazione di ceramografi ‘campanizzanti’ in Etruria, pp. 449-475
Il contributo prende in considerazione un gruppo di cinque vasi etruschi a figure rosse della metà del IV secolo a.C., caratterizzati da un’alta qualità tecnica cui non corrisponde un’adeguata maturazione stilistica. I vasi sono attribuiti alla mano di un unico ceramografo, denominato ‘Pittore delle Gorgoni di Heidelberg’ dal vaso di maggior impegno del gruppo: il pittore appartiene alla seconda generazione di ceramografi Campanizzanti dell’Etruria meridionale, assieme al P. di Bonn 83, al P. del Sacrificio e ad altri, accomunati tra loro da alcune caratteristiche tecniche, specialmente per quanto riguarda la forma dei vasi e la decorazione accessoria. Infine, la nuova lettura della formula onomastica del Pittore (SER[t]Ur puryiRnAs) permette di riconoscere la sua origine greca, probabilmente risalente a suo padre, che apparteneva alla prima generazione di ceramografi immigrati dalla Campania nella prima metà del IV secolo a.C.
The paper analyzes five Etruscan red-figure vases dating from the mid-4th century BCE, characterized by a high technical level along with an inadequate stylistic maturity. The vases are attributed to a single painter named ‘Painter of the Gorgons of Heidelberg’ from the most important vase of the group. This craftsman belongs to the second generation of Campanizing painters of southern Eruria, along with the P. of Bonn 83, the P. of Sacrifice and other ones, being associated on the grounds of some technical features, specially as regards shapes of vases and accessory decoration.
Furthermore, a new reading of the onomastic formula of the Painter (SER[t]Ur puryiRnAs) highlights his Greek origin, presumably referred to his father, who belonged to the first generation of vase-painters immigrated from Campania in the first half of the 4th century BCE.
G. TARASCO, L’iscrizione CIL IX 114* da Loretino con dedica di Silla a Venere Erycina Vincitrice, pp. 477-512
In due studi, pubblicati nel 1739 e nel 1742, il gesuita G.R. Volpi, sulla base di quanto appreso dal libro di F.M. Pratilli riguardante la descrizione della via Appia, rende nota la scoperta di una Lapida recante un’epigrafe latina, ritrovata nel 1733 a ‘Loretino’ e conservata nel ‘Palazzo del Duca Giordani’. L’iscrizione, menzionante una dedica di Silla a Venere Erycina Vincitrice, è stata ritenuta falsa o sospetta dal Muratori, dall’Orelli e dal Mommsen. In questo contributo si propone di identificare Loretino con l’attuale paese di Oratino, ubicato vicino Campobasso, e il Duca Giordani con Gennaro Girolamo Giordani, oppure con il fratello Antonio Giordani, entrambi feudatari di questo paese in quel periodo. Il testo della dedica presenta diversi elementi che mettono in dubbio l’autenticità dell’iscrizione della Lapida, che può essere considerata una completa falsificazione oppure una rielaborazione settecentesca di un’epigrafe realmente ritrovata a Oratino.
In 1739 and in 1742 the Jesuit G.R. Volpi published in two different works, based on the book of F.M. Pratilli about the description of via Appia, an information about the discovery of a Lapida with a latin inscription found in ‘Loretino’ in 1733 and preserved in the ‘Palazzo del Duca Giordani’. The inscription, mentioning a dedication of Silla to Venere Erycina Vincitrice, was considered false or dubious by Muratori, Orelli and Mommsen. The purpose of this article is to identify Loretino with the present village of Oratino near Campobasso, in Molise, and the Duca Giordani with either Gennaro Girolamo Giordani or his brother Antonio Giordani; both having an important possession in that village in that period. Moreover it wants to question and analyze different elements connected to the authenticity of the inscription of the Lapida: it could be considered either a complete falsification or a possible eighteenth century new version of an epigraph really found in Oratino.
A.JACOB, La grotte de San Cristoforo à Torre dell’Orso (Lecce) e ses inscriptions byzantines, pp. 513-536
Le tre iscrizioni del Museo Provinciale di Lecce (Inv. 52 + 5219, 55 e 5217), qui pubblicate, sono state staccate nell’Ottocento da L. De Simone dalle pareti della grotta di S. Cristoforo, situata a Torre dell’Orso, distante 15 km circa da Otranto sulla costa adriatica. Contengono invocazioni di viaggiatori in procinto di imbarcarsi per la Grecia. La prima è costituita da due distinte invocazioni rivolte a Cristo da un certo Basilio e da un personaggio chiamato probabilmente Kaloritzes. Grazie a un disegno del De Simone e all’identificazione di un frammento caduto in un secondo momento (Inv. 5219) si è riusciti a darne un testo pressoché completo. Nella seconda il suddiacono Costantino invoca direttamente la croce di Cristo, fornendo così i presupposti per la restituzione abbastanza sicura della metà mancante dell’e¬pigrafe. Per quanto riguarda l’ultima (Inv. 5217), si tratta soltanto di un piccolo frammento, le cui caratteristiche tipologiche consentono tuttavia di attribuirlo alla grotta di S. Cristofo¬ro. Tutte e tre le iscrizioni sono databili alla prima metà o anche all’inizio dell’XI secolo.
Les trois inscriptions du Musée provincial de Lecce (Inv. 52 + 5219, 55 et 5217) publiées ici ont été arrachées au XIXe siècle par L. De Simone de la grotte de S. Cristoforo, située à Torre dell’Orso sur la côte adriatique, à 15 km environ au nord d’Otrante. Il s’agit d’invocations de voyageurs qui s’apprêtaient à traverser le canal d’Otrante pour se rendre en Grèce. La première d’entre elles renferme deux invocations distinctes, celles d’un certain Basile et d’un personnage portant probablement le nom de Kaloritzès. Grâce à un dessin dudit De Simone et à l’identification d’un fragment détaché après coup (Inv. 5219), il est possible de la déchiffrer intégralement. Dans la seconde, en revanche, le sous-diacre Constantin s’adresse à la croix du Christ, ce qui permet de reconstituer de manière hypothé¬tique mais assez convaincante le contenu de la moitié manquante. La dernière (Inv. 5217) n’est qu’un fragment, attribuable lui aussi à la grotte de S. Cristoforo grâce à sa typologie. Les trois inscriptions remontent à la première motié, voire au début du XIe siècle.
F. GUALDI, Avori barocchi inediti con il buon pastore bambino (niño), pp. 537-569
Viene esaminata una serie di avori barocchi inediti indo-portoghesi scolpiti direttamente su zanne eburnee e da collocarsi cronologicamente tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 istituendo rapporti iconografici e stilistici. Il porto di Goa, conquistato nel 1510, divenne un centro particolarmente importante dei possedimenti portoghesi e i missionari divennero evangelizzatori, ma anche validi apportatori della cultura occidentale in Oriente e della cultura orientale in Occidente. Viene particolarmente evidenziato come molti motivi iconografici o cristiani sono stati interpretati in modo spesso memore della ricca cultura autoctona orientale dagli artigiani-scultori. Negli avori esaminati è altresì evidenziato come il Buon Pastore giovanetto, diffuso nell’iconografia cemeteriale e nella scultura paleocristiana, viene mutato in bambino, ‘El niño Bon Pastore’. Il motivo iconografico della Fontana della Vita che appare, tra l’altro, nella famosa opera di Yan Van Eyck, l’Agneau Mistique della chiesa di Saint Bavon a Gand, passò dalla penisola iberica nel Rinascimento e probabilmente, con l’ausilio di incisioni, in Oriente.
This paper considers a group of previously unpublished Indo-Portoguese ivories from the Baroque period. These ivories were directly carved onto ivory tusks, and may be dated to the late sixteenth and early seventeenth century on the basis of stylistic and iconographic comparisons. The port of Goa, conquered in 1510, became a particularly significant Portoguese outpost in the east, and missionaries to the island operated not only as agents of evangelization, but also as efficient vectors of cultural exchange between East and West. As this paper suggests, the rendition of many iconographic and Christian motifs on these ivories was highly indebted to the culture of the local, autochthonous craftsmen-sculptors. This paper will show that the iconography of the Good Shepherd, widely employed in early Christian sculpture, morphed in these ivories into the motif of ‘El niño Bon pastore’. The iconographic motif of the Fountain of Life, which also appears in Jan Van Eyck’s famous Agneau Mistique, preserved in the church of Saint Bavon, Gand, was transmitted from the Iberian Peninsula to the east during the Renaissance, most likely through the medium of engravings.